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Venerdì, 28 Ottobre 2011 11:52

L’integrazione scolastica dei soggetti con ADHD: le relazioni con i pari all’interno di un contesto

Scritto da Laura Bruni
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L'articolo affronta la tematica del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività. Viene evidenziata l'importanza delle strategie educative messe in atto con tutto il gruppo classe come intervento efficace per affrontare questo problema, che riguarda un numero sempre maggiore di bambini.

di Laura Bruni

 

I bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, noto in ambito clinico con l’acronimo ADHD (dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) hanno difficoltà a controllare i propri impulsi ed a posticipare le gratificazioni, non riescono a riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a svolgere giochi organizzati e con uno scopo da raggiungere con una sequenza articolata di azioni. Si differenziano dai loro coetanei per una eccessiva attività motoria e appaiono agitati, irrequieti ed incapaci a stare fermi.

E’ facilmente comprensibile come questi soggetti, date le predette caratteristiche, abbiano spesso, oltre che un minore rendimento scolastico, anche difficoltà nei rapporti sociali.

I problemi scolastici, i continui rimproveri da parte delle figure di riferimento, il senso di inadeguatezza percepito dai frequenti insuccessi, portano questi bambini a sviluppare una scarsa autostima e demotivazione che accentuano ulteriormente le loro difficoltà.

E’ importante, tuttavia, non confondere bambini descritti come vivaci, con bambini per i quali è realmente formulabile una diagnosi di condotta ipocontrollata: le inadeguate aspettative di genitori e insegnanti rischierebbero di stigmatizzare il comportamento turbolento di un bambino facilmente distraibile.

Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, stiamo assistendo ad una dilagante diffusione di questo disturbo: c’è chi ritiene che esso derivi da un contesto ambientale svantaggiato e chi invece pensa che le cause del disturbo siano di tipo neurobiologico.

In realtà è verosimile che la causa del disturbo sia multifattoriale, cioè che vari fattori neurobiologici e psicosociali contribuiscano insieme al suo manifestarsi.

Un’opinione comune sulle cause dell’iperattività è l’aumento della velocità nei ritmi di vita: le famiglie gestiscono i propri impegni in maniera frenetica, questa accelerazione potrebbe indurre una sorta di sovra stimolazione in alcuni bambini che sono più a rischio di altri a sviluppare una condotta iperattiva.

Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività può presentarsi già nel periodo prescolare ma, intorno ai sei anni, con l’ingresso del bambino a scuola, esso diviene maggiormente evidente: il disturbo espone il soggetto ad una forte compromissione in ambito scolastico e nelle relazioni sociali, inoltre in questa fase si evidenziano, oltre alle manifestazioni negative del comportamento, anche le difficoltà cognitive tipiche dell’ADHD (inattenzione, tendenza ad evitare compiti complessi e lunghi, difficoltà scolastiche associate).

L’impulsività e l’irruenza che caratterizzano il Deficit di Attenzione/Iperattività influenzano il modo in cui il bambino si rapporta con in coetanei e gli adulti, generando, con il tempo, antipatia negli altri e finendo con il trovarsi rifiutato.

Si innesta così un circolo vizioso per cui il bambino isolato, non avendo possibilità di fare pratica al fine di costruirsi un repertorio di abilità sociali, verrà stabilmente rifiutato da parte dei pari con pesanti ripercussioni sulla sua autostima e sulla sua qualità di vita.

La scuola costituisce l’ambito principale in cui gli individui possono fare le prime esperienze di relazione con i pari, avendo così l’opportunità di acquisire quelle abilità che guideranno l’effettivo funzionamento sociale nel corso della vita. E’ proprio però all’interno del contesto scolastico che le difficoltà relazionali si sviluppano emergendo nella maniera più evidente e possono, al tempo stesso, essere anche affrontate.

Molti tipi diversi di interventi sono stati adottati nel tempo per migliorare le condizioni di presenza in classe del soggetto con ADHD.

Sono state messe in atto strategie focalizzate alla modificazione del comportamento del bambini iperattivo; altri interventi si sono concentrati sull’assistere i genitori e gli insegnanti nell’acquisizione di tecniche per la gestione del comportamento di soggetti con tale sindrome; una componente spesso trascurata è rappresentata, invece, da tutti quegli interventi che cercano di coinvolgere anche i compagni di classe. Questi ultimi interventi hanno l’obiettivo di sensibilizzare i coetanei al fine di ridurre l’impatto sociale negativo dell’ADHD. Cambiando gli atteggiamenti di un bambino, infatti, si potranno ottenere variazioni anche a livello comportamentale, e quindi avere come risultato una maggiore accettazione dei compagni che presentano tale problematica. Potremmo affermare, pertanto, che gli interventi rivolti ai pari di bambini e adolescenti con ADHD possono migliorare la qualità e la quantità delle interazioni sociali degli studenti con ADHD, grazie al cambiamento degli atteggiamenti, delle percezioni e delle intenzioni comportamentali dei compagni di scuola.

Quanto appena detto può essere realizzato mediante strategie educative che permettano la continua collaborazione fra gli alunni e la partecipazione di tutti al processo educativo, affinché ciascuno possa mettere in gioco le proprie abilità ed esperienze all’interno di un percorso continuo di scambio.

Accanto a percorsi educativi individualizzati rivolti a far emergere le specifiche abilità di ognuno, dovrebbero trovare posto momenti dedicati all’apprendimento cooperativo fra pari, al peer tutoring, alla libera socializzazione fra studenti.

Letto 11941 volte Aggiornato: Giovedì, 30 Giugno 2016 13:23
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