Negli ultimi vent’anni, accanto alle problematiche relative all’uso ed abuso di sostanze stupefacenti, si è manifestata la proliferazione di dipendenze cosiddette senza droghe o non chimiche, che sono man mano diventate uno dei massimi rappresentanti della psicopatologia moderna e postmoderna; il computer, internet, il sesso, il gioco, gli acquisti, il lavoro e la sfera affettiva sono elementi legalizzati della società che talvolta smettono di svolgere il loro ruolo sociale per “incastrare” e schiavizzare l’essere umano.
di Simona Morganti
All’interno di questo gruppo, la dipendenza da gioco è l’unica dipendenza senza uso di droghe riconosciuta dalla nosografia psichiatrica ufficiale e collocata nell’ambito dello “spettro” dei disturbi impulsivo-compulsivi. Essi sono caratterizzati dall’impossibilità di resistere ad un impulso, ad un desiderio impellente o alla tentazione di compiere un’azione pericolosa per sé e per gli altri, che dà luogo ad una serie di comportamenti ripetitivi o azioni mentali il cui obiettivo è quello di prevenire o ridurre l’ansia o il disagio, e non quello di fornire piacere o gratificazione.
Ma prima di entrare nella psicopatologia è necessario precisare che per il gioco vale ciò che è vero per tutte le forme di dipendenza e cioè che è necessario conoscerne i ruoli e le funzioni normali, sia sul piano sociale che individuale, per poter comprendere la dinamica dell’addiction. Le dipendenze infatti riguardano quei campi dell’attività umana che furono oggetto di culti e di riti e che solo successivamente produssero le prescrizioni e gli interdetti per imporne il controllo. Il gioco e lo stesso gioco d’azzardo rientrano innanzi tutto nel campo delle attività ricreative e rappresentano un’attività necessaria tanto per l’equilibrio sociale che per quello psicologico degli individui. Si tratta di un’ “altra scena”, dotata di tempi e spazi propri, in cui il soggetto si sottrae ai vincoli del principio di realtà; la realtà che si contrappone al gioco è quella delle costrizioni imposte dal lavoro e dalle gerarchie, dalle responsabilità e dalla famiglia. Ma, tra il gioco e la realtà c’è un nesso di esclusione reciproca e se il gioco esce dalla sua cornice e sconfina nella realtà si producono delle degenerazioni che possono causare delle patologie, o meglio delle dipendenze. La libertà è infatti un elemento costitutivo e fondamentale della pratica del gioco; il gioco deve cioè potersi interrompere per lasciare il posto allo spazio di realtà e qualora si instauri invece una costrizione ludica, essa segnerà la fine del gioco stesso.
Riteniamo utile per comprendere il fenomeno dell’addiction centrare l’attenzione sul momento in cui un determinato comportamento, come il gioco per l’appunto, invade l’intera esistenza del soggetto, al punto di impedirgli di svolgere qualsiasi altra attività: l’oggetto della dipendenza diventa il fulcro attorno al quale ruota la vita della persona fino a definirne l’identità.
Il gioco d’azzardo rientra nella categoria dei giochi di alea, una scommessa cioè su ogni tipo di evento ad esito incerto, in cui il caso determina l’esito stesso. La scommessa diventa un rifugio della mente (Steiner), uno spazio immaginario dove poter creare il mondo che si desidera. La letteratura psicodinamica sul gioco è molto vasta; ci sembra interessante il contributo di Bergler che nel suo Psicologia del giocatore si è soffermato su quel “desiderio inconscio di perdere” che permette al soggetto di mantenere il suo equilibrio psichico. Un altro aspetto importante da sottolineare ci sembra quello dell’imprevedibilità del risultato come attrattiva più forte del gioco, in quanto spinge a giocare per l’illusione di controllare l’incontrollabile. Questo atteggiamento è sicuramente conseguenza di un forte senso di debolezza nei confronti della realtà.
Il Pathological gambling è stato ufficialmente inquadrato come categoria diagnostica a partire dal 1980 e sono stati individuati alcuni sintomi che conducono alla definizione del soggetto come giocatore patologico. Questi sintomi vanno a delineare un quadro in cui la persona diventa man mano sempre più coinvolta nel gioco, irritabile ed irrequieta qualora tenti di interromperlo,ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori, comincia a mentire in famiglia ed agli altri per nascondere il grado di coinvolgimento in quest’attività, fino ad arrivare agli estremi di commettere azioni illegali pur di giocare e di mettere a rischio sia le relazioni che il lavoro.
Il quadro è quindi quello di una perdita di controllo sempre maggiore che ha tutte le caratteristiche che ritroviamo anche nella classica dipendenza da sostanze stupefacenti. In Italia il gioco legale ed illegale muove una cifra calcolata intorno ai 25 miliardi di euro; l’80% degli italiani dedica qualche attenzione all’azzardo e nel 3% dei casi il gioco è patologico.
Ma come si diventa giocatori patologici? E’ molto difficile stabilire una netta demarcazione tra giocatore patologico e giocatore sociale, il processo è lento, insidioso e caratterizzato da fasi diverse. L’inizio è caratterizzato dal gioco occasionale, spesso consumato in compagnia di amici e familiari e dal fatto che i giocatori vincono più spesso di quanto perdano; a questo si aggiunge di solito una grossa vincita che istilla nel giocatore l’idea di essere più abile di altri. Si comincia così ad investire sempre più tempo e denaro nel gioco e si passa alla fase successiva che è invece caratterizzata da un aumento delle perdite. Il giocatore torna spesso a scommettere nel tentativo di recuperare il denaro perduto, comincia a chiedere prestiti e si indebita sempre di più passando così ad una fase di disperazione forte esaurimento fisico e psichico.
La fase finale è quella della perdita della speranza in cui si possono trovare crisi familiari, divorzi, problemi con la giustizia. Dalla prima all’ultima fase possono purtroppo trascorrere anche dieci e più anni.
Ci sono sicuramente alcuni fattori di rischio che rendono alcune persone più vulnerabili alla possibilità di diventare pathological gamblers.Alcune ricerche hanno dimostrato che le possibilità aumentano di due volte negli uomini rispetto alle donne e con livelli più bassi d’istruzione. Sicuramente la presenza di genitori che hanno avuto problemi col gioco aumenta il rischio di sviluppare questa patologia come anche la perdita dei genitori, l’iniziazione al gioco in età adolescenziale, la non valorizzazione del risparmio da parte della famiglia d’origine.
Ci sono inoltre alcune caratteristiche di personalità che possono essere evidenziate, come ad esempio la tendenza a ricercare il rischio e le esperienze eccitanti ed una certa irrazionalità del pensiero che porta il giocatore a sovrastimare le vincite e dimenticare le perdite come a sopravvalutare le proprie possibilità di successo.
Rispetto alle nuove modalità del gioco d’azzardo c’è senz’altro da dire che lo sviluppo delle nuove tecnologie ha segnato la nascita di un nuovo modo di giocare, solitario, globalizzato, sempre disponibile, con regole semplici e quindi ad alta soglia d’accesso. I videopoker, le slotmachine, il bingo, il gioco ondine, essendo accessibili a tutti e proponendo l’immediatezza del risultato e la velocità delle partite, aumentano sicuramente la possibilità di perdere il controllo del confine, rispetto a giochi più antichi come il lotto, il totocalcio che propongono invece un differimento nel tempo del gioco stesso.
Quali possono essere le modalità d’intervento nei confronti di questa forma di dipendenza sempre più diffusa ed insidiosa e per la quale possono passare tanti anni prima di accettarne la problematicità?
Si può intervenire a diversi livelli: con la terapia individuale, spesso di indirizzo cognitivo-comportamentale, con una terapia farmacologia, che prevede la somministrazione di uno psicofarmaco ansiolitico o betabloccante per ridurre la crisi di astinenza, oppure si può ricorrere ad una terapia di gruppo, con l’attivazione di gruppi di auto-aiuto tipo Gamblers Anonymous.
Ci sono inoltre interventi sulla famiglia diretti sia a sostenere i familiari del giocatore che a renderli più consapevoli del problema. Esistono infine programmi terapeutici comunitari, residenziali e semiresidenziali che fungono da vere e proprie comunità di disintossicazione dalla dipendenza.
Riteniamo però che sarebbe auspicabile un’informazione più estesa sui rischi di un’attività che proprio per la sempre maggiore accessibilità può trasformarsi da sociale a problematica.
In questo senso l’attenzione si sposta agli interventi di prevenzione con l’obiettivo di ricondurre il gioco ai normali canoni dell’aspetto ludico, proprio a partire dai luoghi adibiti alla scommessa.
Questo nell’ottica in cui qualsiasi forma di dipendenza va vista nell’ambito di un continuum che da manifestazioni di consumo o comportamento inoffensivi arriva sino all’utilizzo patologico o abuso.
Versione integrale dell’articolo pubblicato sul numero di ottobre 2006 della rivista “Io sono”
Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo sistemico-relazionale, svolgo attività clinica presso Psicologia insieme, Studio Associato e Associazione onlus, di cui sono il Presidente. Responsabile dell’area violenza e dipendenza nelle relazioni svolgo in questo settore formazione per operatori e gruppi di sostegno per l’utenza.