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Pubblicato in L'amore sano e l'amore malato

Chiamarlo amore non si può. Conoscere e riconoscere la violenza In evidenza

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09 Ott 17

a cura di Simona Morganti

Si è da poco conclusa l’edizione 2017 del Corso Dipendenza affettiva e Crimini relazionali.
Ci occupiamo da anni di queste tematiche ed ogni edizione di questo corso è una nuova occasione per riflettere sulla complessità di un tema che conosciamo un po’ tutti.

Si è da poco conclusa l’edizione 2017 del Corso Dipendenza affettiva e Crimini relazionali.

Ci occupiamo da anni di queste tematiche ed ogni edizione di questo corso è una nuova occasione per riflettere sulla complessità di un tema che conosciamo un po’ tutti, perché in diverse sfaccettature può riguardare relazioni a noi molto vicine.Costruire una relazione è una faccenda molto complicata: le insidie di potenziali sviluppi violenti possono annidarsi già nella costruzione iniziale di una storia. E’ una faccenda complicata per l’intreccio di fattori culturali, personali e familiari dei quali possiamo non essere inizialmente consapevoli ma che da subito possono contenere una distorsione tale da configurare una relazione problematica, se non violenta.

Voglio qua proporre il contributo di una corsista di quest’anno che, nell’ambito della tesina di fine corso, ha voluto partire da sé per riflettere e far riflettere su un tema fondamentale: conoscere la violenza non sempre significa riconoscerla.Vi invito a leggerlo perché fa davvero pensare a quanto può essere ancora difficile decifrare segnali di sofferenza in chi ci è molto vicino ma fa di tutto per nascondere a se stesso e ai proprio cari il profondo disagio vissuto.

Ma fa anche pensare ad un altro aspetto, centrale, ovvero quanto la donna, statisticamente la vittima più frequente nelle relazioni difficili, cada nella trappola de: io ce la farò, io come nessun’altra sarò brava a tal punto da cambiarlo. E’ il primo autoinganno, a cui seguirà, il: è successo solo questa volta, non vuol dire niente..

Questo è l’inizio di un circolo vizioso violento nel quale non è improbabile trovare anche la morte.

Una storia
di Rita de Paola 

Sono storie da incubo certe vite, come quella di Maria che nasce in un paesino calabrese nel 1941. (La data non ha alcun significato, la storia è attualissima anche oggi, nel 2017).Appena sedicenne si innamora di un ragazzo del suo paese, Antonio, un anno più grande di lei. Fa il muratore, è un ragazzo aggressivo, violento, guai ad entrare in contrasto con lui. Alza subito le mani, tira pugni, cazzotti.Per futili motivi aggredisce anche la mamma, la nonna, le sorelle più piccole.

E’ rimasto orfano di padre in giovanissima età; essendo il primo di sette fratelli ha provveduto al mantenimento della famiglia. A 12 anni “già portava il pane a casa”. Fisicamente è un bel ragazzo, alto, bruno, un sorriso ammaliante (somigliante al Maurizio Arena di Poveri ma belli). Maria è delicata, una bella ragazzina esile, biondina, occhi verdi, molto gentile ed educata.Il suo papà è morto in guerra , vive con la mamma e altre due sorelle più grandi di lei.La sua è una famiglia rispettata in paese. Tutti volevano bene al suo papà morto in Albania da eroe. Il suo papà era un uomo buono, generoso, allegro, rispettava tutti e tutti lo rispettavano. Affettuosissimo con la moglie e le figlie. Quando arrivò la notizia della sua morte, in paese “anche le pietre piansero”.

Quando i parenti di Maria si accorgono che Antonio le fa la corte, si oppongono con tutte le forze: ”un violento in casa nostra mai… ha picchiato la nonna per una sciocchezza..non ti daremo mai il consenso a sposare una persona simile…Maria ragiona”. Maria piangeva disperata, diceva “con me è gentile, bravo..io lo cambierò, vedrete, accanto a me diventerà un’altra persona”. Intanto Antonio la sera, dopo il lavoro, si recava alla cantina del paese, beveva, si ubriacava, tornava a casa dalla madre e picchiava tutti. La sorellina più piccola si nascondeva sotto il letto per non prendere le botte. Avevano tutti paura di lui.

Maria, invece, ne era innamorata, lo vedeva forte, un eroe, lui l’avrebbe protetta da tutti. Quando si sposano, al matrimonio di Maria partecipa solo la mamma, le sorelle, addolorate, si rifiutano.

Durante i festeggiamenti Antonio si ubriaca. La prima notte Maria la trascorre a pulire il vomito di Antonio. La seconda notte lui si ubriaca; si ubriaca anche la terza, la quarta e così via, sera dopo sera. Dopo qualche mese di matrimonio lei si accorge di aspettare un bambino, è felice. Un pomeriggio Maria è al quarto mese di gravidanza, prepara delle polpette di melanzane. Orgogliosa vuole portarne un piattino alla nonna, vuole sapere se sono buone come le sue. La nonna è una maestra nella preparazione delle polpette.

Antonio rientra in casa e non la trova; quando Maria rientra non fa in tempo a spiegargli che si era assentata per soli dieci minuti che arrivano calci, pugni, schiaffi, una bestia si avventa sul corpicino di Maria. Cade a terra, si rialza in una pozza di sangue. Il suo primo bambino non c’è più e questo è solo l’inizio di un incubo vissuto per 49 anni di matrimonio. La favola dell’eroe che l’avrebbe protetta non è mai iniziata. Presto Maria impara a convivere con l’orco in casa, in silenzio ha sopportato le botte, la paura dei suoi rientri ubriaco fradicio.

Nel frattempo sono nati tre figli, che ha sempre dovuto proteggere dalle botte dell’orco. Quarantanove anni di matrimonio in solitudine, senza amiche con le quali confidarsi, senza mai una parola a nessuno dei suoi tormenti. Murata viva; mai un parrucchiere, una festa, un matrimonio di parenti. Si vergognava a farsi vedere in paese, non partecipava alle processioni, alle messe dei familiari morti. Non andava a fare la spesa. Stava in casa, cucinava, lavava, cuciva, accudiva le galline, i conigli.

Quando andavo a trovarla aveva un sorriso dolcissimo, mi accoglieva a braccia aperte. Così la ricordo l’ultima volta che l’ho vista mia zia Maria, Un cancro l’ha portata via a 70 anni, nel giro di un mese.

Lei sapeva che nel suo corpo c’era qualcosa che non andava ma stava in silenzio, aveva imparato a sopportare il dolore, anche perché l’orco era solito dire “ i malati vanno dal medico, noi stiamo bene, chi si fa le analisi le malattie se le chiama”.Maria ad ottobre avrebbe festeggiato 50 anni di matrimonio. Lei mi diceva che non aveva nulla da festeggiare.

Se ne è andata in silenzio, senza dare fastidio a nessuno, una fredda domenica di febbraio. Il giorno in cui è morta l’orco ha detto che il bene si apprezza quando si perde, addossando la colpa a medici incapaci per non averla curata bene. Non si è reso conto che aveva portato la moglie in ospedale una settimana prima che morisse.

Adesso l’orco della tomba di Maria ha fatto un santuario, l’uomo che non le ha permesso di mettersi una crema al viso quando era screpolata dal vento “solo le mignotte usano le creme”. Quest’uomo ora ha una sedia fissa davanti alla tomba della moglie. Come un’ossessione la visita mattina e pomeriggio.

Nessuno deve mettere un fiore, solo lui può farlo. Nemmeno mia madre può mettere una rosa, una piantina. Ha chiuso la lapide con grate di ferro di cui possiede solo lui la chiave. Maria è segregata anche da morta. Quando ho cominciato a scrivere la tesina volevo cominciare con un fatto di cronaca, poi, riflettendo, ho pensato che un orco l’avevo conosciuto da bambina.

Conosciuto ma non riconosciuto. Anche io gradualmente ero giunta ad un livello di assuefazione, mi ero abituata gradualmente al suo modo arrogante di trattare la gente, oppure avevo utilizzato la strategia di negare, di distanziarmi dalla realtà. Forse, sentendomi impotente a cambiare la situazione, mi sono dissociata, ho cercato di distorcere la realtà, quello che pressappoco capita alle vittime di violenza domestica.

Analisi della storia
di Rita De Paola

La figura di Maria è simile alla protagonista di un antichissimo racconto popolare castigliano “La Rateta presumida”, la topolina presuntuosa. Nel racconto si narra di una topolina che si fa sedurre dal gatto, da un bellissimo gatto. La topolina quando lo conosce cade in estasi; aveva tanti pretendenti ma quando vede il gatto se ne innamora.

“Quanto sei bello” pensa la topolina, “sarai tu il mio amore, a te darò il mio cuore”. Gli amici topi, i parenti topi la mettono in guardia, le dicono “sei pazza, è un gatto, ti mangerà”. Lei risponde sicura “lui mi ama, mangia gli altri topi, non me, io lo cambierò, con me diventerà un altro”.

Si sposano, la notte delle nozze il gatto si avvicina alla topolina, lei con gli occhi languidi pensa ”ecco, adesso mi bacerà” invece il gatto se la mangia. La Rateta muore sbranata. D’altronde i gatti sono gatti e questo restano. I topi femmina tendono a scegliere i gatti. Forse pensano che li salveranno, forse sono in preda ad un delirio di onnipotenza o hanno la vocazione al martirio. La Rateta presumida è una che presume molto di sé. Pensava di essere più forte, di cambiare il gatto in topo. Pensava che, con la sua pazienza, la sua ostinazione, la sua generosità lo avrebbe trasformato. Doveva capire che non esistono gatti vegetariani.

Quante sono le donne che si lasciano insultare, picchiare perché pensano che prima o poi si calmerà, basta lasciargli tempo? Che forse una botta in testa se la sono cercata?

Maria non aveva molte fotografie, anche farsi fotografare era un modo per mettersi in mostra, secondo il marito. Però una foto serviva per la lapide, l’unica foto che la ritraeva un pochino elegante era quella del battesimo del primo ed unico nipote. I capelli tirati indietro, non li aveva mai tagliati. Al collo un filo di pelle prestatole da mia madre. La foto non mi piace, ha un sorriso triste e malinconico. Eppure era il battesimo del nipotino. Mia mamma mi ha raccontato che anche quel giorno aveva paura. Temeva la reazione violenta del marito per un parente che non si era presentato al battesimo.

Ecco, ho pensato, mia zia era morta da tempo, era morta cinquant’anni fa pur restando in vita.

Rita De Paola è psicologa libero professionista ed opera nel Comune di Ciampino

Letto 3634 volte Aggiornato: Mercoledì, 11 Ottobre 2017 15:01

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Simona Morganti
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