di Martina Agostini
Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) è una condizione medica molto seria con cui siamo da sempre abituati a confrontarci in età evolutiva. Tuttavia i sintomi e le problematiche associate “non scompaiono al compimento del diciottesimo anno di età” ma nella maggior parte dei casi permangono e si evolvono.
Tutti conosciamo i sintomi dell’ADHD in età infantile, ma quali sono i sintomi che permangono nell’adulto e che non gli permettono di vivere serenamente la propria quotidianità?
Nell’adulto, per quanto riguarda la disattenzione, permangono la difficoltà a mantenere l’attenzione necessaria nella lettura, la “smemoratezza” durante gli atti quotidiani (non prestare cioè attenzione a dove viene collocato un oggetto di uso comune o tendenza a collocarlo in luoghi sbagliati), la debole concentrazione, la difficoltà a riservare del tempo per pianificare le azioni della giornata, la difficoltà nel completare una prova o un compito soprattutto se di lunga durata e associato a una bassa motivazione, l’incapacità di portare a termine le proprie attività in assenza di una dead-line. Per quanto concerne l’iperattività, alcuni sintomi sono: agitazione interna, selettività nell’eseguire un lavoro, eloquio fluente e abbondante, agitazione anche quando si è seduti, ritmo di vita frenetico, talora caotico. L’impulsività può essere invece identificata attraverso: difficoltà a mantenere un’attività lavorativa, con cambi frequenti e repentini; la guida non accorta, con la possibilità di essere coinvolti in incidenti automobilistici; l’irritabilità, la facilità ad arrabbiarsi, con conseguenti difficoltà nei rapporti interpersonali e coniugali.
Diversi studi hanno dimostrato che circa il 60% degli individui con ADHD in età infantile continua ad avere difficoltà in età adulta. Ma quali sono i fattori di rischio e quelli protettivi nell’evoluzione del disturbo? Tra i fattori di rischio è stato dimostrato come un mancato trattamento in età infantile e la presenza di disturbi in comorbiditá come ansia e depressione e problemi con l’uso di sostanze sono associati a una probabilità maggiore di essere disoccupati in età adulta.
Aggressività, problemi di condotta in età infantile, come anche l’esposizione alla psicopatologia materna possono predire la persistenza dell’ADHD in adolescenza e in età adulta.
Inoltre, la persistenza dei problemi di attenzione (come ad esempio perdere le cose necessarie, la difficoltà nel prestare attenzione quando necessario o semplicemente l’abilità di ascolto) ha un impatto negativo su diverse aree importanti del funzionamento quotidiano.
Il maggior successo nella remissione dei sintomi si può ottenere grazie a un lavoro integrato, che combini il trattamento farmacologico con interventi rivolti sia al soggetto stesso che alla famiglia e alla scuola. Pertanto, la combinazione tra i vari tipi di trattamento (farmacologico e psicologico) risulta la modalità di trattamento più accreditata e funzionale, in quanto la terapia farmacologica andrebbe ad agire direttamente sulle basi biologiche del disturbo, mentre gli interventi psicoeducativi permetterebbero di modificare l’ambiente adattandolo il più possibile alle caratteristiche del soggetto; in questo modo un contesto facilitante potrebbe favorire l’adozione di comportamenti adattivi ed evidenziare le reali potenzialità del bambino.
Dunque, orientare l’attenzione sull’evoluzione del disturbo anche in adolescenza e in età adulta può essere importante per una serie di motivi: saper riconoscere e osservare l’espressività dei sintomi nel corso dello sviluppo, ipotizzare la prognosi in relazione alla presenza e all’articolazione dei diversi fattori di rischio, identificare i casi in cui si va incontro a una remissione sintomatica può essere fondamentale nell’identificare i fattori individuali e ambientali che possono indurre traiettorie evolutive sfavorevoli, per attuare interventi e trattamenti più precoci, selettivi e mirati.
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