L'assistenza alla sessualità per i portatori di handicap ancora oggi, nel nostro Paese, è un argomento per certi versi tabù, del quale la politica e la società non sembra vogliano farsene carico, lasciando alle famiglie dei disabili il peso e la responsabilità di gestire una situazione che grava ulteriormente sulle loro vite e sulla vita dei loro assistiti.
Il caso di Enrica, ad esempio, madre di un ragazzo di 29 anni affetto da tetraparesi spastica dalla nascita, è solo la punta di un fenomeno ben più esteso e complesso. Al Fatto.it spiega come il tema della indipendenza sessuale del figlio Adriano sia ancora un argomento che crea senso di “vergogna” - anche tra gli stessi operatori e le stesse operatrici - e di come siano necessari “testa e cuore” nell'affrontare questo genere di situazioni.
"testa e cuore"
Le ragioni di tanta reticenza, soprattutto da parte del mondo della politica, sono molteplici. Tra queste, probabilmente, l'eterno dibattito su ciò che viene ancora oggi ritenuta una sottile linea di confine quella che divide la prestazione sessuale per ragioni di profitto (strettamente legato alla mercificazione del corpo e al tema della prostituzione) dall'assistenza sessuale alla disabilità per fini medici/terapeutici; e certamente anche la difficoltà a considerare la sessualità come un aspetto fondamentale nella vita del portatore di handicap che, come qualunque altra persona, è pervaso da desideri sessuali che si differenziano sia nel modo in cui li si vorrebbe esprimere sia nel modo in cui li si vorrebbe soddisfare. La necessità di istituire anche nel nostro Paese - come avviene in altre parti d'Europa - la figura dell'operatore all'affettività per disabili, è però l'obiettivo a cui stanno puntando le associazioni di caregivers e chi opera in ambito sanitario e della promozione della salute.
E' il caso, per esempio, del primo corso italiano per la formazione di “O.E.A.S.” , di operatori all’emotività, all’affettività e alla sessualità delle persone con disabilità, avviato a Bologna appena qualche giorno fa. Tuttavia, sull'esempio appena citato, è bene fare alcune precisazioni, di ordine etico e legale.
La prima. Come spiega al Fatto.it il Dott. Fabrizio Quattrini, Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo, presidente dell’Istituto italiano di sessuologia scientifica nonché docente del corso: "il compito dell'operatore non sarà di fare sesso con i disabili, il loro compito sarà quello di aiutare il disabile a risolvere delle problematiche rispetto alla sessualità. Quindi potrebbe essere semplicemente anche entrarci in un contatto empatico o magari semplicemente anche di fargli vivere delle emozioni dal punto di vista sensoriale."
La seconda. In assenza di un quadro normativo di riferimento, il rischio per chi volesse avviare un corso con queste finalità, è che si possa essere accusati di favoreggiamento alla prostituzione, sebbene, come precisa Maximiliano Ulivieri, tra i promotori del corso e fondatore del Comitato Love Giver, in questo caso “gli operatori non corrono alcun rischio, l’unico a poter accusato di favoreggiamento della prostituzione sono io, dal momento che svolgo un ruolo di mediazione tra gli operatori e le famiglie che ne fanno richiesta: finora ho ricevuto ben 2147 richieste da parte di padri e madri di figli con disabilità psichiche e affettive”.
Sia chiaro: l'obiettivo di questo post non è pubblicizzare corsi formativi erogati da terzi, ma contribuire ad alimentare il dibattito su un tema estremamente importante e delicato, che riguarda la qualità della vita di migliaia di individui con disabilità e delle loro famiglie. Un tema che, secondo il mio personale parere, ha più a che fare con i diritti (negati) che con il reato, e per il quale già nel 1993 l’Assemblea Generale dell’ONU si era espressa approvando un documento che riconosceva pieno diritto a tutti i portatori di handicap di esperire la propria sessualità.
Oggi, grazie alle nuove tecnologie per l'informazione e la comunicazione, al moltiplicarsi di app e di siti dedicati al mondo dei disabili, e di software che rendono sempre più accessibile la loro fruizione, si è reso più facile l'incontro tra le varie istanze ed esigenze di un'importante fetta della popolazione di individui con disabilità, ma, come nel caso di Adriano, restano esclusi coloro i quali sono colpiti da forme più o meno gravi di disabilità intellettive, motorie e sensoriali che impediscono loro ogni forma di relazione autonoma con l'esterno e dunque di vivere anche emozioni legati alla sfera sessuale. E allora il dibattito è più che mai aperto. Parliamone!
Riferimenti:
Il Fattoquotidiano.it: Assistenza sessuale per disabili, al via il primo corso: “Vi spiego perché voglio diventare operatore all’affettività”
Mi occupo di comunicazione, di psicotecnologie e di tecnologie per l'istruzione e l'apprendimento
Sito/Blog personale: www.psicotecnologie.it