Dall’inglese bullying, il termine bullismo indica un comportamento che mira consapevolmente a fare del male, che è persistente- talvolta dura per settimane, mesi e perfino anni- e da cui è difficile difendersi. Occorre fare attenzione, però, a non confondere il bullismo con i litigi tra coetanei; la differenza è che un litigio non è né intenzionale, né ripetuto.
di Simona Morganti
Secondo la definizione di Dan Olweus:
"uno studente e' oggetto di azioni di bullismo, ovvero e' prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di piu' compagni” (Olweus, 1996).
L’intensità e la qualità dei fenomeni di prevaricazione puo’ variare a seconda della classe di provenienza, del sesso, del luogo e del tipo di supervisione operata dall’adulto.
Il bullismo puo' essere considerato una sottocategoria del comportamento aggressivo, con alcune caratteristiche distintive: l'intenzionalita' (mira deliberatamente a ferire, offendere, arrecare danno o disagio), la persistenza nel tempo, l'asimmetria di potere (nella relazione, il bullo e' piu' forte e la vittima e' piu' debole e spesso incapace di difendersi). Può inoltre assumere forme differenti: fisiche, verbali, indirette
Ma chi è il bullo?
La definizione di bullo in Italia ha un'accezione che stempera la gravità della violenza e non necessariamente prevarica gli altri, anzi spesso il termine "bullo, bulletto" ha un'accezione positiva. E' però necessario mettere da parte questo significato per comprendere il problema: il bullo e' un ragazzo o una ragazza che compie degli atti di prepotenza verso un proprio pari sfruttando il fatto di essergli in qualche modo superiore. Ciò che caratterizza i bulli è un modulo comportamentale reattivo aggressivo associato alla forza fisica (se sono maschi), un forte bisogno di dominare e sottomettere gli altri, una spiccata impulsività unita alla difficoltà ad accettare le regole. Il bullo è inoltre capace di tirarsi fuori dalle situazioni difficili con abilità e viene sempre sostenuto da qualche coetaneo.Il rendimento scolastico e' vario ma tende ad abbassarsi con l'aumentare dell'età e, parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo verso la scuola.
Le vittime prescelte sono quasi sempre bambini e ragazzi tranquilli, riservati, sensibili, spesso è presente una scarsa autostima e un'opinione negativa di sè; in genere sono ansiose e insicure. Sono le vittime definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l'incapacità, l'impossibilità o difficoltà di reagire di fronte ai soprusi.
Esiste, tuttavia, un altro gruppo di vittime: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazione ansiose e aggressive.
Il bullismo è anche un fenomeno di gruppo; nella vita di gruppo esistono sempre delle dinamiche di appartenenza e di esclusione, che tra bambini e ragazzi emergono in modo particolarmente forte. Chi è fuori, è fuori per sempre e chi è dentro non si limita ad emarginare la vittima, ma si accanisce contro di essa.Il bullo non agisce da solo: alcuni compagni svolgono un ruolo di rinforzo, altri formano un pubblico che incita e sostiene, altri ancora si disinteressano a quello che accade, non manca poi chi tenta di opporsi alle prepotenze per proteggere la vittima.
Il bullismo è quindi un fenomeno molto grave che presenta forti conseguenze sia per le vittime che per i prepotenti.
Gli studi longitudinali, già messi in atto da Olweus e altri, rivelano che chi rimane a lungo nel ruolo di prepotente corre più rischi di altri di entrare in quella escalation di violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a incorrere in problemi seri con la legge.
Questi ragazzi hanno quindi più probabilità da adulti di venire condannati per comportamenti antisociali.
Chi invece ha sperimentato a lungo il ruolo di vittima potrà avere pesanti conseguenze a livello dell’autostima ("non valgo nulla", "non sono capace di far nulla", "gli altri ce l'hanno tutti con me") e sviluppare forme di depressione che possono aggravarsi sempre di più. Le vittime sono inoltre a rischio di abbandono scolastico.
Per tutto questo è importante intervenire attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti collegati in modo diretto e indiretto a questa forma di prevaricazione che contribuisce ad accentuare le difficoltà di crescita dei giovani.
In questo la scuola può avere un ruolo centrale sia a livello preventivo, aiutando il bambini e ragazzi ad avere una buona sicurezza, attraverso la valorizzazione e l'apprezzamento delle qualità positive personali e la promozione di comportamenti di alleanza e solidarietà tra i compagni, sia a livello di denuncia del fenomeno laddove si sia manifestato, attraverso l’acquisizione della capacità di riconoscerlo e l’abbandono di quei comportamenti di conformismo che lo perpetuano e lo stabilizzano nel tempo.
Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo sistemico-relazionale, svolgo attività clinica presso Psicologia insieme, Studio Associato e Associazione onlus, di cui sono il Presidente. Responsabile dell’area violenza e dipendenza nelle relazioni svolgo in questo settore formazione per operatori e gruppi di sostegno per l’utenza.